In-cognito di Lara Vinca Masini

Testo di Lara-Vinca Masini per la mostra personale dal titolo in-cognito, presso la Limonaia di villa Strozzi, Frenze

 

In-cognito
di Lara Vinca Masini

 

L’ arte è sempre, e comunque, comunicazione. Ma, in quanto tale è anche rivelazione e denuncia. Io l’ ho sempre definita cartina di tornasole, specchio nero della realtà.
Stefano Tondo è un giovane artista che lavora sul profondo, con ironia ma anche con amarezza e partecipazione, riuscendo sempre a metterci di fronte a noi stessi, con una intensità e una forza tutte mediterranee. Già nei suoi quadri-rilievo (macchie, della fine degli anni Novanta) sembrava voler scavare, in un rapporto diretto, fisico, nella profondità della materia come nell’ intimità più segreta delle nostre angosce, mentre, per altra via, sembrava volerci entrare anche a mezzo di una sorta di sublimazione, evidenziando segreti sontuosi di luce nel cuore dei suoi morbidi, avvolgenti, grandi bozzoli di lana d’ acciaio o di canapa e colla (da vuoto, che racchiude una sorta di oro filosofale, a vortice, che sembra occultarlo nel suo veloce giro avvolgente).
E già si affacciava (con senza titolo, 2001, una lastra di ottone che taglia a metà un tronco, riflettendolo dalle due parti), a quello che per Stefano Tondo diverrà (fino ad oggi, mai fare ipotesi sul lavoro futuro di un artista…), il più significativo dei suoi intenti, quello
dell’ ambiguità della visione, la continua messa in crisi dell’ identità, propria e altrui. Si pensi al gioco intrigante di no-one, del 2003, in cui, in una sorta di proiezione-specchio, una serie di autoritratti fotografici si propongono uno dietro l’ altro, dentro una classica cornice dorata.
Già c’era, inoltre, la messa in crisi del concetto di fotografia come “contingenza di cui è l’ involucro trasparente e leggero” (da “La camera chiara” di Roland Barthes). L’ immobilità della fotografia si trasformava in continua, spaesante variazione.
E nei lavori che Stefano Tondo svolgerà di seguito in collaborazione con Irena Kalodjera si concretizzerà anche un’altra precisa intenzionalità, la volontà di misurarsi col mistero, con l’ interiorità, con una spiritualità che sembra provenire da un retaggio atavico, da un mondo di pensiero che accomuna Oriente e Occidente, e che
recupera, attraverso il riflesso, la luminosità, il bagliore, quel “garbuglio di tracce significanti, particelle alfabetiche sconosciute da ricomporre in sintassi rinnovate, sistemi di segni a incastro illuminati dalla luce di un destino ineluttabile di dimenticanza per un tema mai affrontato”, secondo la definizione relativa a questo momento di conquista di un linguaggio nuovo espressa da Renato Ranaldi, che, con la straordinaria intuizione di un artista, quella che McLuhan definiva “consapevolezza infinita” alludeva anche al riflesso “di una cosa folgorante disegnata da una teoria di fosfeni che, mutando profilo continuamente, voleva sovvertire l’ ordine della visione. Il bagliore di un fantasma andava e veniva poi spariva per un po’…”: da Alcatraz, (una installazione del 2003, che vede, al minimo movimento di chi si avvicina, un volo di pagliuzze dorate entro un cono di luce – l’ oro inteso come colore quintessenziale, legato all’ alchimia, alle filosofie e alle religioni orientali, all’ ultraterreno…- a terra, al limite del cerchio di luce, quattro piccoli arazzi da preghiera), a lastra, superba, sconvolgente installazione del 2004. fino al più recente lo scrigno (2005), inserita nel lavoro teatrale “EXIT, la bestia lo scrigno
e il carillon/colpo di scena”, nel chiostro dell’ Accademia di Belle Arti di Firenze,
E, quasi come àkme di queste ricerche si pone il lavoro che Stefano Tondo presenta all’ entrata della Limonaia di Villa Strozzi, durante le manifestazionei del Quartiere Quattro, a Firenze, nella quale il rapporto diretto tra il singolo spettatore e lo specchio (il doppio, e insieme l’ altro da sé, qui reso più intensamente inquietante dalla presenza ombra, riflesso, di un volto diverso che si confonde col suo, in una sconvolgente e frastornante equivocità), ci mette di fronte alla condizione nella quale viviamo, alla continua perdita di identità nel processo di omologazione che rende tutti uguali, aldilà delle ideologie, delle esperienze singole, delle diversità che costituiscono le ragioni della vita di ognuno, e che fanno parte della speranza che è la condizione più autentica della vita stessa.
“Lo specchio” (ha scritto Italo Calvino ne “le città invisibili”) “ora accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico….Le due Valdrade vivono l’ una per l’ altra guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano”…

Lara-Vinca Masini

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